Fare Pasqua
“Fare Pasqua” significa lasciarsi coinvolgere in
quella che Gesù chiama la sua ora nella quale
realizza appieno la sua missione con la morte in
croce e risurrezione.
Ci si prepara a Pasqua con i quaranta giorni della
“quaresima” nei quali siamo invitati a riscoprire i
valori fondanti di un’autentica esistenza.
Potremmo paragonarci ad un triangolo equilatero che
ricompone armonia fra i suoi lati.
Le tre dimensioni o “lati” della nostra vita da
relazionare fra loro hanno un nome: Dio, gli altri,
io.
La quaresima, per conservarci equilateri, ci
suggerisce con insistenza di: incontrarsi e
confrontarsi con Dio (preghiera); incontrarsi e
confrontarsi con sé stessi (chi sono e dove sono);
incontrarsi e confrontarsi con gli altri (rispetto,
accoglienza, aiuto).
L’incontro ed il confronto
portano alla verità; la verità sollecita la
misericordia; la misericordia genera riconciliazione
e comunione.
L’ “ora” della Pasqua di Gesù è scoccata a
Gerusalemme nei giorni primaverili durante i quali i
Giudei ricordavano gioiosamente la liberazione dalla
schiavitù in Egitto.
Domenica delle Palme
Leggiamo nei vangeli (Mt 11,6-10; Mc 21,8-11; Lc
19,35-38; Gv12,12-15) che Gesù, recatosi a
Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua, fu
accolto da una folla festante.
A ricordo di tale accoglienza si benedicono i rami
di ulivo e di palma e si ripete il corteo osannante
e festoso (la processione elemento essenziale del
rito).
Il ramo benedetto viene portato e conservato nella
propria casa - non come amuleto o portafortuna – ma
all’ingresso come segno visibile, di una porta
aperta e spalancata per accogliere ed incontrare
Gesù ed ogni fratello.
La celebrazione della messa che segue la processione
è sotto il segno della lettura del brano evangelico
(la Passione) che documenta le sofferenze
procurate a Gesù, poi ignorato, respinto e
rinnegato; per vari motivi. Come avviene anche oggi!
Giovedì santo
Quanto di inedito ed inimmaginabile abbiano
prodotto i gesti e le parole di Gesù nella sua
ultima cena lo riferiscono concordemente, seppure
con annotazioni particolari, gli evangelisti e
l’apostolo Paolo (Mt 26,24- 28; Mc 14,22-24;
Lc22,19-20; 1Cor11,23-26).
Con le parole pronunciate sul pane e sul vino che
tiene in mano, Gesù si identifica con essi: questo
pane sono io, questo vino sono io offerto e
sacrificato per voi a suggello di una nuova alleanza
con Dio. Prendete e mangiate per diventarne
partecipi fino alla assimilazione. Non lasciate
inaridire questa sorgente di verità e di vita ma
rinnovatela facendo questo in memoria di me.
La tradizione parla di “eucaristia, grande dono
degno di grande ringraziamento!”.
Ecco perché l’unica messa (cena eucaristica) che si
celebra questo giorno è seguita da una prolungata
sosta di adorazione, lode, ringraziamento, supplica
davanti al Pane consacrato custodito con particolare
cura e solennità. C’è posto anche per la riflessione
sulle parole” dato e sacrificato per voi” ma queste
non giustificano l’abitudine di chiamare “sepolcro”
l’altare che custodisce il grande sacramento. Una
comunità che non sia saldamente centrata alimentata
dalla eucaristia-messa non è una comunità cristiana
e rischia di affaticarsi per buchi nell’acqua.
Professarsi cristiani senza eucaristia è come
indossare un vestito sul vuoto.
Il giovedì della settimana santa ricorda, con la
istituzione della eucaristia e della messa, i
sacerdoti. Essi nella
mattinata celebrano con il vescovo, nella
cattedrale, la messa durante la quale vengono
consacrati gli “olii” che serviranno per le
ordinazioni sacerdotali, le cresime, gli infermi e
consacrazioni varie.
Venerdì santo
La liturgia è oggi dominata dalla memoria di Gesù
processato, maltrattato e ucciso; dall’omaggio reso
alla immagine del crocifisso; dalla preghiera di
intercessione che non dimentica nessuno. Con
questi stimoli non si
punta principalmente a suscitare compassione
e condanna, ma il si mette al centro della
attenzione che il dolore faticosamente
sopportato, accettato, accolto, si trasforma in
amore. Solo la sofferenza trasformata in amore può
essere giustificata e amata.
Dio non si compiace del sangue versato da Gesù ma lo
accetta come prova inequivocabile di amore.
Sabato santo
Il silenzio e la riflessione orante preparano il
trionfo della veglia pasquale che si celebra la
notte del sabato.
Il fuoco - che riscalda, purifica dalle scorie e
illumina - domina la prima parte del rito. Dal fuoco
viene acceso un grande cero dal quale attingono man
mano varie candele: è simbolo di Cristo che diffonde
e comunica luce dove regnava il buio. Segue quindi
un solenne inno alla “Luce che non conosce
tramonto”. Poi la lettura di ben sette brani biblici
i quali, partendo dalla creazione del mondo,
ricordano i principali interventi salvifici nella
lunga storia della umanità. Si termina con la
solenne rassicurante affermazione presa dalla
lettera di Paolo ai Romani: chi è unito a Cristo
mediante il battesimo porta in sé il germe della
risurrezione (cfr Rm 6,3-11). Si giunge così alle
parole che gli angeli rivolsero alle donne recatesi
al sepolcro: “Perché cercate tra i morti colui che è
vivo? Non è qui, è risorto” (Lc 24,5-6). Quanto fin
qui proclamato e spiegato viene attualizzato, dove
possibile, con il battesimo di adulti e/o bambini e
con l’invito ai presenti a vivere da battezzati
vale a dire da rinati. Il congedo finale è saluto e
consegna: “Portate a tutti la gioia del Signore
risorto. Andate in pace”.
Se nel ricordo del battesimo, e con la confessione e
la comunione abbiamo incontrato Cristo: siamo rinati
e abbiamo fatto Pasqua.
Una “buona Pasqua”!
Padre Angelo